L’epidemia del virus si fa sentire nelle attività industriali, molte delle quali hanno rinviato di una settimana la ripresa delle attività.
L’attesa buona notizia, che concretizza il (logico) grande sforzo profuso dalla comunità scientifica internazionale, è di freschissimo arrivo sui tavoli delle agenzie di stampa di tutto il mondo, e conferma il ruolo di eccellenza italiano nella ricerca: una équipe in forza all’Istituto Spallanzani di Roma ha isolato il Coronavirus, dando così il “la” alla corsa verso l’individuazione di un antidoto all’epidemia che da settimane flagella la Cina. Proprio dal “Paese della Grande Muraglia”, che si prepara a riprendere l’attività lavorativa dopo il lungo periodo di vacanza (il tradizionale Capodanno cinese), in parte prolungato dalle autorità locali per cercare di limitare il più possibile la diffusione del virus, arrivano tuttavia segnali allarmanti per gran parte dei settori dell’industria e dei servizi. Questo il bilancio (l’ultimo, in ordine di tempo) reso noto dalle Autorità sanitarie cinesi: il numero dei decessi ha superato quota 360, e le persone contagiate sono oltre 17.000; da tenere sotto controllo, tuttavia, gli oltre 21.500 “casi sospetti” (a termine di paragone, le organizzazioni sanitare internazionali ricordano che la Sars causò, fra il 2002 ed il 2003, 349 morti e poco più di 5.300 episodi di contagio). Si ha, a rinfocolare le speranze di un “cessato allarme” che si spera sia sempre più vicino anche grazie all’avere isolato il virus, un mezzo migliaio di guarigioni.
Fabbriche ferme fino al 10 febbraio
Il lungo fermo alle attività produttive (alcune delle province-chiave, fra cui la regione di Shanghai, quella di Chongqing e quella di Guandong, hanno deciso un parziale “stop” almeno fino al prossimo 10 febbraio) ha, tuttavia, avuto i primi pesanti effetti: fino al 9% in meno negli indici principali alle Borse di Shanghai e Shenzhen, nonostante – va detto – il provvedimento attuato dalla Banca Centrale cinese che ha deciso di immettere in circolazione un surplus di denaro nell’ordine di circa 155 miliardi di euro al cambio attuale. Dal punto di vista del comparto automotive, il “fermo” rischia di portare con se gravi conseguenze, almeno in un’ottica a brevissimo termine.
Le Case costruttrici hanno prolungato lo stop alla produzione
La questione è legata al fatto che, incidentalmente, l’epicentro dell’epidemia del virus si trova nella provincia dell’Hubei, che conta 11 milioni di abitanti e che costituisce il “cuore” del comparto automotive cinese. Nell’Hubei, ed in particolare nel territorio distrettuale di Wuhan, sono collocati, fra gli altri, i quartier generali di Dongfeng Motor Corporation (secondo “big player” cinese, forte di una produzione che supera 4 milioni di veicoli all’anno a marchio Dongfeng, Honda, Renault e Nissan, Infiniti, Citroen e Peugeot, Kia e Yulon e unità motrici Cummins); SAIC, che produce modelli a marchio Cadillac, Buick e Chevrolet in virtù di una joint venture con General Motors; riguardo all’indotto, sono presenti Bosch, Valeo, Faurecia, BorgWarner. Alcune aziende, riportava recentemente un “lancio” Ansa, hanno da alcuni giorni – come nel caso di PSA Groupe – deciso lo spostamento di alcuni dipendenti verso altri siti (nello specifico Changsha) -; altre, fra cui la stessa General Motors e Ford, hanno vietato l’effettuazione di viaggi di lavoro alla volta della Cina. Una nuova news Ansa riporta che Toyota ha prorogato “Al 10 febbraio” la riapertura di quattro stabilimenti industriali in Cina (rinviando così di una settimana un precedente programma che era rivolto all’inizio di questo mese). Analogamente, Honda ha imposto una “vacanza” prolungata di oltre 10 giorni (vale a dire fino al 13 febbraio) per il proprio complesso di Wuhan ed ha comunicato che le attività lavorative in altri due siti cinesi rimarranno sospese fino a domenica 9 febbraio. La stessa data è stata scelta dalle joint venture di Bmw, di Ford, di Renault e di Volkswagen, così come Mazda e Mitsubishi e, per restare in tema di filiera automotive, Hitachi e Panasonic.
Nei prossimi giorni si conosceranno più in dettaglio le conseguenze del fermo di produzione fino al 10 febbraio in Cina: quale prima indicazione, la società di consulenza statunitense IHS stima che, nella sua globalità, il primo trimestre di quest’anno potrebbe concludersi con un 7% in meno di produzione.