In un’Europa devastata dalla crisi, i Costruttori europei sono alla ricerca di una via di salvezza, tra incertezze e pesanti perdite.
In un’Europa devastata dalla crisi, i Costruttori europei sono alla ricerca di una via di salvezza, tra incertezze e pesanti perdite.
Andando indietro nel tempo solo fino al marzo di quest’anno, appena 8 mesi fa, si parlava di sinergie e acquisizioni tra i costruttori europei. L’interesse di Fiat per Peugeot, la clamorosa acquisizione da parte di GM del 7% del pacchetto PSA come prodromo di un’integrazione vincente con Opel. Ancora, un possibile accordo tra Fiat e Renault e una Ford all’attacco con un poderoso piano di nuovi prodotti.
Si percepiva la necessità di far fronte comune ad una crisi europea senza precedenti i costruttori europei e i governanti dell’Unione trovassero un modo coeso ed efficace per limitare i danni ed indirizzare la sperata, futura ripartenza.
E invece il quadro, già drammatico, è peggiorato con una rapidità sconcertante. Anzitutto l’accelerazione delle perdite Peugeot che in quattro mesi ha bruciato la liquidità dolorosamente acquisita con la cessione delle quote azionarie a GM e che chiuderà l’annus horribilis con perdite senza precedenti nella sua storia, per oltre un miliardo di euro.
Poi la fiammata della guerra tra Volkswagen e gli altri, con richiesta di dimissioni di Marchionne dal ruolo di Presidente dell’ACEA, l’associazione dei costruttori europei, per la politica spregiudicata di sconti e presunte vendite in perdita praticata dal costruttore tedesco, in gran salute finanziaria, a danno degli altri già fortemente indeboliti.
Guerra rapidamente rientrata alla fine dell’estate con la comune linea di difesa nei confronti dei costruttori dei paesi emergenti – Corea, Cina, India in particolare -, cavalcata da un furioso governo francese che ha chiesto (e non ottenuto) il rigetto dell’accordo di liberalizzazione sottoscritto nell’estate 2011.
Così è iniziato lo stillicidio degli interventi, attesi e temuti, di riduzione o sospensione di orari di lavoro e della produzione, di incentivazioni all’uscita, di annunci o indiscrezioni su chiusure di stabilimenti in Francia, Belgio, Gran Bretagna e Germania, di slittamento nell’uscita di nuovi modelli che il mercato non assorbirebbe.
E, alla faccia di tutte le buone intenzioni di far fronte comune tra costruttori e governo UE, della conclamata inutilità ad affrontare ciascun paese per suo conto i propri problemi, la mossa più clamorosa è venuta proprio dalla Francia. Dunque PSA viene di fatto commissariata dal Governo francese che si assume gran parte (oltre 7 miliardi) degli oneri di ricapitalizzazione della banca del gruppo (11,5 miliardi in totale, il resto da altre banche), con emissioni obbligazionarie garantite dallo Stato.
La finanziaria è vitale per Peugeot che, senza poter finanziare i propri clienti all’acquisto a tassi molto favorevoli, perderebbe ulteriormente vendite e quote di mercato, tanto da rischiare persino il fallimento. La contropartita di tanta generosità -, che da noi se fosse Fiat il beneficiario avrebbe già scatenato i tuoni dei soliti Della Valle, Camusso, Di Pietro & co – è una forte presenza dello Stato nel consiglio, un clamoroso ridimensionamento del ruolo della famiglia Peugeot, la sospensione di dividendi e stock options fino al “risanamento” della società, come ha detto il primo ministro Jean-Marc Ayrault e…soluzioni alternative (?) alla chiusura dello stabilimento di Aulnay, già annunciato dal gruppo francese.
Bene, ma oltre l’infrazione clamorosa della normativa UE che dovrebbe ratificare tale discesa in campo diretta di un governo nazionale e al possibile effetto domino con interventi “nazionali” in Germania o Gran Bretagna o Spagna, come già accadde nel 2009, oltre allo shock per la fine, probabilmente irreversibile, del ruolo primario della famiglia simbolo dell’auto francese dopo 200 anni di orgogliosa autonomia, come si concilia questa mossa disperata e obbligata con la prospettiva di fusione tra Peugeot e Opel e i piani di GM?
Domanda senza risposta e che solleva un’infinità di dubbi sul futuro di questa alleanza e sull’annunciato piano di condivisione totale di quattro piattaforme tra Peugeot, Citroen e Opel.GM cederebbe volentieri a 1 euro Opel, a qualsiasi acquirente, anche a quella Fiat alla quale sdegnosamente la negò solo tre anni fa.Ma ora il mondo è cambiato, nessuno si sognerebbe di accollarsi una perdita da oltre un miliardo prevista per il 2012.
Si è parlato molto in queste ultime settimane dell’ipotesi di fusione tra PSA e Opel, di cui l’accordo sulle quattro piattaforme comuni sarebbe il presupposto industriale. La fusione avrebbe una motivazione che si può dire, quella cioè di consentire una drastica riduzione di costi e presumibilmente di perdite e una che non si può dire, ma chiarissima a tutte le parti in causa, che è quella di gestire la chiusura degli impianti in eccedenza, in Francia e in Germania (come minimo Aulnay e Bochum).
GM sperava di passare la patata bollente a PSA, accollandole Opel e tenendosi fuori dalla mischia.Ma questa prospettiva sembra tramontata prima ancora di nascere con l’ingresso dello Stato nella gestione di PSA. Il governo socialista di Francois Hollande ha evidentemente un obiettivo opposto a quello di GM e punta alla conservazione dei posti di lavoro, almeno quelli in Francia.
Senza contare le critiche degli altri membri della UE, i dubbi sull’approvazione dell’operazione, le prevedibili contromosse della Germania per Opel. Insomma un ginepraio nel quale GM col senno di poi avrebbe volentieri evitato di cacciarsi. Ha già perso i capitali investiti in PSA e si ritrova per giunta con una presenza in consiglio divenuta improvvisamente minoritaria.Questo mentre Opel continua a bruciare liquidità proprio come Peugeot.
Nel frattempo Ford Europe ha annunciato la chiusura della fabbrica belga in cui si produceva la Mondeo e i monovolume grandi, con 4.300 addetti e di due stabilimenti in Gran Bretagna con 1500 dipendenti. Fiat ha sospeso di nuovo Pomigliano, con una cassa integrazione dal 26 novembre all’8 dicembre. Renault annuncia i nuovi investimenti e la nascita del low cost Datsun fuori dall’Europa.
Persino gl’inossidabili tedeschi mostrano preoccupanti scricchiolii. Volkswagen chiude il terzo trimestre con un calo del 19% dell’utile operativo e prevede di chiudere comunque l’anno con le vendite europee in segno negativo. Un bollettino di guerra continuo per i costruttori europei, almeno per quelli generalisti.
Unica eccezione al momento BMW, che non sembra arrestare la crescita, pur contenuta, e in generale è vero che i marchi premium sono ancora colpiti solo marginalmente dalla crisi.Il fondo forse ancora non è stato toccato e tutte le previsioni convergono su un ultimo trimestre d’anno ancora peggiore dei precedenti.La luce in fondo al tunnel è ancora lontana e non è detto che tutti arrivino a vederla.