Scommessa difficile risanare e rilanciare Aston Martin: riuscirà Bonomi a ripetere il successo Ducati?
Scommessa difficile risanare e rilanciare Aston Martin: riuscirà Bonomi a ripetere il successo Ducati?
Vale sempre la più classica delle domande: dove non è riuscito un grande gruppo come Ford – con liquidità, know how e capitali – perché dovrebbe riuscire un imprenditore con un “piccolo” investimento di 190 milioni di euro, sia pure se ha dalla sua il miracoloso risanamento del mito Ducati?
La Investindustrial di Andrea Bonomi ha acquistato dal fondo kuwaitiano Investment Dar (attraverso un aumento di capitale, appunto di 190 milioni di euro) una quota che rappresenta il 37,5% del capitale, ma il 50% dei diritti di voto. Di fatto un controllo totale su un marchio prestigioso ma in crisi finanziaria, che è valutato meno di 1 miliardo di euro.
L’Aston Martin dell’artigiano David Brown, quella della gloria culminata nelle vittorie delle Sport DB3S degli anni Cinquanta e con la DB5 carrozzata Touring, resa celebre dal James Bond di Sean Connery, dopo vari brevi passaggi di mano, viene acquisita nel 1986 da Ford.
Sembra la quadratura del cerchio, il fascino di un marchio sportivo britannico artigianale ed elitario, viene sostenuto dai capitali e dalla tecnologia del grande costruttore americano. E invece, dopo 21 anni di bilanci in perdita, nonostante le sinergie con il colosso Ford e la costituzione di un effimero polo del lusso con Jaguar e Land Rover, nel 2007 l’Aston viene rilevata da un gruppo d’investitori sotto il cappello della finanziaria kwaitiana.
La musica non cambia, prestigio molto, ma costi elevati, sviluppo prodotto a finanziamenti limitati e vendite inadeguate. L’Aston, a rischio di fallimento, torna sul mercato e tra gli interessati – Investindustrial, un immancabile gruppo cinese e una cordata che faceva capo all’indiana Tata, già artefice del miracoloso rilancio di Jaguar e Land Rover – alla fine l’ha spuntata proprio il fondo di Bonomi.
>> Guarda le immagini ufficiali della Aston Martin Vanquish 2013
Al di là della giustificata esplosione dell’orgoglio italiano – dopo le dolorose perdite di Lamborghini, Giugiaro, Pininfarina, Ducati – la domanda è: ma perché dovrebbe riuscire proprio Bonomi laddove gli altri, inclusa la gigantesca Ford, hanno gettato la spugna?
La risposta è nella “formula Bonomi“, nella capacità, già tante volte dimostrata in passato, in ultimo con il caso di scuola Ducati, di individuare un marchio premium che ha potenziali mercati e sviluppo, definire con cura la strategia, introdurre prodotti nuovi in tipologie non coperte, ottimizzare i costi senza scadimento della qualità ma anzi con forte innovazione tecnologica ma cura artigianale, mantenimento e anzi rafforzamento del carattere e dell’immagine del brand, presenza nei mercati in espansione e a forte richiesta di luxury brand, rete di vendita dedicata ed efficace.
E’ esattamente quanto fatto in sei anni dall’acquisizione nel 2006 di una Ducati in pesante passivo, venduta lo scorso aprile per 860 milioni di euro ad Audi. Non un regalo, ma una Ducati dall’immagine forte, capace di vendite record, con una gamma completamente rinnovata e utili importanti. I tedeschi del Gruppo Volkswagen si sono affrettati ad accaparrarsela con una offerta esclusiva.
Miracolo? Certamente no, solo buona imprenditorialità. Sono nati prodotti Ducati di prestigio che semplicemente non esistevano – Multistrada, Street Fighter, Supermotard, Diavel – e contemporaneamente sono stati sviluppati, senza tradirne lo spirito, i tradizionali prodotti dei Ducatisti, come la naked Monster e le supersportive corsaiole 848 e Panigale. Il tutto conservando gelosamente la distintività, anche tecnica della Rossa, che ne fa l’unico mito indiscusso tra le due ruote.
Secondo la formula Bonomi, saranno sviluppati prodotti nuovi che non ci sono oggi nella gamma Aston Martin, come un Top Maxi SUV che affronterà direttamente il già affermato Porsche Cayenne ed i prossimi Maserati e Bentley.
La gamma, oggi accusata di essere troppo uguale a se stessa tanto da rendere quasi indistinguibili i diversi modelli sportivi (DBS, Virage, DB9, V12 Vantage), tenterà un’allargamento in basso con un’Aston sportiva più compatta che possa competere con le Porsche Boxter/Cayman ad esempio, senza perdere di prestigio.
Per farlo, visti i proibitivi costi di sviluppo, impossibili da ammortizzare su volumi bassi, ha bisogno di un partner tecnico ad alta tecnologia e prestigio, che possa fornire componenti meccaniche avanzate a costi abbordabili.
La partnership con AMG è data per certa, manca solo l’ufficializzazione della firma di un accordo eilmarchio sportivo di Daimler appare come un fornitore ideale per le necessità di un brand come Aston Martin.
Naturalmente resteranno al top di gamma le speciali, estreme e a tiratura limitata, con caratteristiche tecniche e prezzi stratosferici, indispensabili per rappresentare lo stato dell’arte di un marchio sportivo di gran prestigio che si confronta con Ferrari, Maserati, Lamborghini, McLaren, Porsche.
Ci saranno quindi al top di gamma le eredi della spaziale One-77, o della V12 Zagato, come ci sarà senz’altro una quattro porte sportiva meglio riuscita della sfortunata Rapide, che fatica a ritagliarsi un posto in una nicchia così redditizia. Sparirà invece l’infelice esperimento della city car Cygnet, troppo evidentemente imparentata con la Toyota iQ.
La formula Bonomi realizzerà il miracolo anche con Aston Martin? Ci sono tutti i presupposti per un ennesimo successo. Scommettiamo che l’Aston Martin italiana, tornerà in utile nel giro di quattro o cinque anni e che sarà pronta per essere ceduta a caro prezzo, proprio come Ducati?
E magari stavolta l’acquirente sarà italiano, magari nell’orbita del trio Ferrari/Maserati/Alfa Romeo… Sogno stimolante. L’intraprendente Andrea Bonomi peraltro, prima di aggiudicarsi il prestigioso marchio sportivo inglese, aveva tentato invano di compartecipare Pirelli e di accaparrarsi Alfa Romeo.
Quando in un’intervista recente Marchionne ha respinto per l’ennesima volta l’ipotesi di vendita di Alfa Romeo, alludeva probabilmente a Bonomi quando ha affermato che comunque in nessun caso a Volkswagen ma semmai ad altri offerenti.
Finora l’imprenditoria creativa di Andrea ha ottenuto solo successi, rilevando aziende in crisi, risanandole e rivendendole con solidi incrementi di valore. Più che di Aston Martin italiana forse è il caso di parlare di buona imprenditoria italiana, e questo ci fa un gran piacere.