Se fossimo in Marchionne ci sentiremmo garantiti dal risultato del referendum di Pomigliano e pronti a investire 700 miloni di euro?
Se fossimo in Marchionne ci sentiremmo garantiti dal risultato del referendum di Pomigliano e pronti a investire 700 miloni di euro?
Il successo non plebiscitario del sì al piano Fiat dimostra che i luoghi comuni sulla “produttività” dei lavoratori dello stabilimento campano hanno una solida base, che va oltre quella dei nostalgici della Fiomm. Se fossi al vertice di un gruppo automobilistico e dovessi decidere i miei investimenti prioritari con un progetto di rientro della produzione in Italia (fatto senza precedenti nella storia dell’imprenditoria automobilistica) con un investimento da far tremare i polsi e mi trovassi di fronte ad un tiepido sì (66% contro 32%) di quei lavoratori che dovrebbero garantirmi la possibilità di ottenere i risultati attesi, cancellerei il progetto di rientro e investirei dove queste essenziali garanzie di flessibilità e produttività non sono condizionate.
Tradotto in termini più chiari se fossi Marchionne non mi sentirei assolutamente garantito dal risultato di Pomigliano, nel quale uno su tre dei miei dipendenti non intende accettare e applicare i contenuti dell’accordo, e destinerei la produzione di un modello fondamentale per Fiat come la Panda, senza esitazioni, allo stabilimento polacco che da decenni garantisce, oltre a costi di produzione inferiori, qualità del lavoro, flessibilità, basso assenteismo e scarsa conflittualità.
Le imprese devono fare le imprese e gareggiare efficacemente nei mercati di riferimento che in questo caso sono globali, pena il fallimento o l’acquisizione da parte di un nuovo padrone più cinico e più ricco, per dirla in termini simbolici.
In un mercato complesso, maturo, ad alta competitività, in cui gli investimenti sono enormi e il rischio connesso al loro risultato elevato, nessun imprenditore assennato si arrischierebbe ad investire sulle sabbie mobili di una conflittualità d’altri tempi, da impresa statale (italiana) degli anni ’70, guarda caso proprio com’era l’Alfa Sud.
Pomigliano ha assenteismo elevato, forte conflittualità, qualità del lavoro modesta, rigidità gestionali che portano in sede di trattativa sindacale banali scelte operative nelle quali la rapidità di reazione costituisce l’elemento di successo o meno rispetto alle richieste di mercato.
Chiaro che se proprio il vertice Fiat volesse insistere nell’idea di portare una produzione cardine come la Panda dove oggi produce, con risultati assai modesti, le Alfa 159, investendo 700 milioni di euro, avrebbe la necessità di veder garantite le proprie capacità di far fronte all’andamento dei mercati e con costi di produzione compatibili. I progettisti possono far miracoli e realizzare un prodotto perfetto, ma se tutta la macchina di produzione, vendita e post vendita non ne supporta e segue prontamente gli andamenti, anche un buon prodotto può essere la rovina dell’impresa.
Devo dire che anche i contenuti dell’accordo tesi a garantire, presenza, produttività, turni e straordinari comandati, hanno un valore essenzialmente dissuasivo e non mi sembrano in grado di dare certezze sull’andamento produttivo.
Certo che se il “Sì” fosse stato plebiscitario si sarebbe potuta percepire una ben più solida penetrazione di cultura industriale in un contesto come quello di Pomigliano. Il risultato dei “No”, in percentuale superiore agli iscritti Fiomm, getta un’ombra pesante sulla fattibilità dell’investimento in condizioni di sufficiente sicurezza dei risultati.[!BANNER]
Come finirà? Non lo so, ma al posto di Marchionne non rischierei di tornare alla situazione preliquidatoria Fiat del 2003, per di più con un prodotto vincente come la Panda.
Forse finirà con un investimento più modesto e l’allocazione su Pomigliano di produzioni meno strategiche e che possono essere prodotte anche all’estero. So che la mia opinione scatenerà reazioni contrastanti, ma la Panda merita più di quello che Pomigliano è in grado di garantirle allo stato attuale.
Mi auguro che le cose cambino, che il realismo, che non richiede particolari sforzi interpretativi sul futuro della produzione auto in Italia, possa inaspettatamente cambiare l’atteggiamento irrealistico di un terzo dei lavoratori di Pomigliano, che Rosy Bindi smetta di dire sciocchezze di principio su temi concreti che non conosce e non capisce, che la Fiomm cessi di giocare ancora con il dileggio dei colleghi “servi del padrone”. Lo spero, ma non ci credo.