Dopo il ‘Dieselgate’, l’UE chiede più controllo centrale sugli accertamenti effettuati dai singoli Stati.Per la Germania, ciò rappresenterebbe un’ulteriore burocrazia; l’Italia chiede maggiore potere nazionale.
Un maggiore controllo sulle modalità di approvazione dei nuovi modelli di autoveicoli da parte delle autorità nazionali? Alcuni paesi della UE, fra i quali Italia e Germania, non si trovano d’accordo. Lo riporta l’edizione europea di Automotive News, sulla scorta di una indiscrezione proveniente da alcune fonti vicine a Bruxelles le quali indicano che, fra i tre “blocchi” legislativi (ovvero Parlamento europeo, Commissione europea e Governi membri UE), si stia per giungere ad un agreement su un progetto di legge in materia di emissioni. In seguito al “Dieselgate” che interessò Volkswagen nell’autunno di due anni fa, la legge chiederebbe maggiore potere di controllo da parte dell’Unione Europea sulle decisioni delle autorità nazionali e delle Case auto in materia di omologazione degli autoveicoli di nuova fabbricazione.
Al momento sembra che le posizioni restino divise in merito all’entità dei controlli da affidare a Bruxelles. Il Commissario europeo per l’Industria Elzbieta Bienkowska, si legge su Automotive News, ha spiegato ai taccuini Reuters come l’attuale assetto politico-industriale necessiti di “Maggiore qualità e indipendenza nel sistema, più controlli sulle auto già in circolazione e una supervisione a livello europeo”.
Gli incartamenti europei visti da Reuters indicherebbero che il legislatore dell’Unione Europea intenderebbe conferire alla Commissione il potere di organizzare verifiche periodiche con le autorità nazionali, per l’analisi obiettiva dei criteri di approvazione dei nuovi modelli: alcuni Stati UE, fra i quali c’è la Francia, sostengono due giorni di verifica ogni cinque anni.
Tuttavia, la Germania sembra opporsi ai controlli “centrali” indicati dalla Commissione Europea: una presa di posizione ribadita lo scorso 30 novembre in un documento, anch’esso esaminato da Reuters, dove si sostiene che “Qualsiasi tipo di supervisione implica ulteriori ‘passi’ burocratici, senza per questo rivelarsi vantaggioso all’atto pratico”. Dal canto loro, le condizioni richieste dall’Italia e altri sette Stati membri UE sarebbero tali da “Indebolire il potere di controllo da parte della Commissione europea stessa”, indicano le fonti citate da Automotive News. Una “voce” interna a Bruxelles sosterrebbe, a questo proposito, come “Sia difficile dire di no, dopo il ‘caso’ Dieselgate, ad un più ampio potere di supervisione da parte della Commissione europea”.
Allo studio c’è, inoltre, il numero di test sulle emissioni nelle reali condizioni d’uso delle autovetture che ogni Nazione è obbligata a svolgere. Sembra, in questo senso, che un progetto di accordo preveda, a carico degli Stati membri, un’analisi a campione su almeno un autoveicolo ogni 40.000 di nuova fabbricazione: il 20% di tali controlli deve comprendere accertamenti sulle emissioni. Si tratta di una cifra inferiore a quanto richiesto dal Parlamento europeo e, come messo in evidenza da associazioni ambientaliste, meno efficace in rapporto a quanto viene effettuato negli USA: “È fondamentale che le autorità nazionali effettuino controlli regolari: molte Nazioni UE continuano a comportarsi come se il ‘Dieselgate’ non fosse mai avvenuto”, sostiene Julia Poliscanova, esponente della Commissione Trasporti e Ambiente a Bruxelles.
Occorre, peraltro, tenere conto delle recenti indicazioni giunte da Bruxelles: ci si riferisce, in questo senso, al “Pacchetto Mobilità” presentato esattamente un mese fa dalla Commissione Europea. La proposta indica una riduzione delle emissioni di CO2 nell’ordine del 15% al 2025 e del 30% al 2030, in rapporto al limite già fissato di 95 g/km entro il 2021. Tutto questo, in riferimento ai nuovi test di omologazione WLTP–Worldwide harmonized Light vehicles Test Procedure, il protocollo di test per l’omologazione UE dei nuovi veicoli entrato in vigore lo scorso 1 settembre, insieme agli standard RDE–Real Driving Emissions, come evoluzione del ciclo NEDC-New European Driving Cycle, attuato nel 1996 e assurto a “fama internazionale” nell’autunno del 2015 in seguito al “caso Dieselgate”.
Una nuova politica in merito al futuro della mobilità sembra essere concretamente sul taccuino delle priorità a Bruxelles: al momento della presentazione del “Pacchetto Mobilità”, il vicepresidente della Commissione Europea Maros Sefcovic aveva indicato la proposta come uno strumento adatto a “Spronare le Case costruttrici verso lo sviluppo di veicoli maggiormente efficienti e puliti, e in grado di guadagnarsi nuova fiducia da parte dei consumatori”. Nei giorni scorsi, in una intervista concessa al quotidiano tedesco Der Tagesspiel, la stessa commissaria europea per l’Industria Elzbieta Bienkowska aveva indicato come, in un futuro a medio termine, sia facile aspettarsi “La sparizione delle auto alimentate a gasolio. E ciò avverrà indipendentemente da quanto Case produttrici e clienti amino le proprie autovetture diesel”. La “eliminazione” delle auto diesel dal panorama automotive europeo, qualora avvenisse davvero, dovrà in ogni caso essere graduale, e senza alcuna imposizione: “Sono contraria alla pianificazione degli strumenti economici, e non intendo vietare d’acchito i diesel: questo non sarebbe giusto nei confronti degli interessi dei consumatori. Il nostro progetto vuole, al contrario, incoraggiare le Case costruttrici a migliorare le proprie auto attraverso un sistema di incentivi”.
Bienkowska, interrogata sul futuro assetto delle strategie industriali in rapporto all’attenzione per l’ambiente, evidenzia che “Le aziende si trovano nel bel mezzo di una nuova rivoluzione industriale, guidata da concetti sconosciuti pochi decenni fa quali automazione e digitalizzazione. È probabile che ci si trovi di fronte ad uno scenario simile a quanto avvenne in un lontano passato, quando il motore a vapore venne sostituito da quello a combustione interna. L’unica differenza è che, questa volta, il processo di trasformazione è molto più veloce”.