Il 25 luglio 2018 si spegneva, in una clinica di Zurigo, il “grande traghettatore” che in 14 rutilanti anni, lavorando senza sosta, proiettò una Fiat in crisi sotto i riflettori del mondo. La sua eredità.
È trascorso un anno, oggi, dall’improvvisa scomparsa di Sergio Marchionne (qui il nostro approfondimento all’indomani della sua morte: Sergio Marchionne, l’uomo chiave del rinnovamento Fiat): il top manager più osservato nell’intero comparto automotive di questo inizio di nuovo Millennio che moltissimo ha contribuito a rendere internazionale l’immagine di Fiat nel mondo, traghettando il marchio leader in Italia per vendite nell’orbita di una Fca (creata sotto la sua guida), anche attraverso la messa in pratica di decisioni clamorose e drastiche. Tra queste l’acquisizione di Chrysler, l’uscita del Gruppo da Confindustria, il referendum di Pomigliano d’Arco (per mantenere operativo l’impianto alle porte di Napoli edificato a fine anni 60 per produrvi l’Alfasud e da tempo additato come uno dei simboli di una imprenditoria di Stato non in grado di compiere un concreto salto di qualità), i suoi rapporti personali con il mondo della politica, i tentativi di acquisire Opel, lo scorporo Ferrari e di Magneti Marelli, il trasferimento della sede ad Amsterdam e della sede legale a Londra, il difficile rapporto con le rappresentanze sindacali, soltanto per citarne alcuni. Il risultato è stato il sesto posto nella classifica dei costruttori.
Consegnare un Gruppo sano dal punto di vista finanziario
“Soltanto” al sesto posto, viene da aggiungere: perché per l’uomo-Marchionne, è da giurarci, il futuro sarebbe dovuto essere – come è logico che sia – all’insegna della escalation (“Siate come i giardinieri, investite le vostre energie e i vostri talenti in modo tale che qualsiasi cosa fate duri una vita intera o perfino più a lungo”, ebbe a dire il manager-filosofo in occasione di un incontro con un gruppo di studenti). Non l’avrebbe comunque vissuto in prima persona: come amava ripetere, il suo compito manageriale consisteva anche nel lavorare per “ripulire” i cassetti delle strategie, e consegnare al suo successore – se egli fosse rimasto in vita, avrebbe ceduto il proprio testimone (al suo “delfino” Alfredo Altavilla o a Mike Manley come effettivamente avvenuto, non si sa) alla fine dello scorso marzo per rimanere al timone della sola Ferrari fino al 2021 – una Fca risanata nei risultati finanziari. Come effettivamente è avvenuto, nell’ormai storico Capital Markets Day del 1 giugno 2018, nel quale venne annunciato l’azzeramento del debito industriale netto.
La “giornata di Balocco” di tredici mesi fa è rimasta nella storia non soltanto per l’annuncio dei conti in positivo dopo molti anni ma anche per l’episodio della cravatta (“Come potete vedere dalla mia cravatta ben annodata…”, esordì il top manager di origine abruzzese citando un aforisma di Oscar Wilde, secondo il quale una cravatta ben annodata rappresenta il primo passo serio nella vita… pur indossandola sotto il maglioncino blu che non abbandonava pressoché mai, e non lo fece neppure il successivo 26 giugno, alla sua ultima apparizione pubblica in occasione della consegna di una Jeep Wrangler all’Arma dei Carabinieri). Dati alla mano, la capitalizzazione complessiva di Fca, Ferrari e Cnh raggiunse, nell’estate 2018, i 60 miliardi di euro: quasi undici volte in più rispetto al valore delle azioni del Gruppo Fiat – 5,5 miliardi – all’epoca del suo insediamento, nel 2004.
Un sogno “globale” che non si è ancora concretizzato
Messo a segno l’azzeramento dell’enorme debito industriale netto del Gruppo, l’unico risultato che non riuscì a vedere fu una nuova “big Alliance”: Marchionne desiderava con tutte le proprie forze l’assicurare un futuro di respiro ancora più ampio, per Fiat-Chrysler, attraverso una alleanza di assoluto livello con uno dei prim’attori del comparto automotive: che si trattasse di fusione, acquisizione o partnership, con il tempo si sarebbe saputo. Ci provò, prima con Opel (allora nell’orbita GM), e sembra che fu la cancelliera tedesca Angela Merkel a porre il veto; fu, in seguito, la volta di General Motors, guidata da Mary Barra: un colpaccio che avrebbe consentito, nelle intenzioni di Marchionne, ad Fca di assumere un ruolo ancora più marcato a Detroit. Anche in quella occasione, non ci fu niente da fare.
La vision strategica di Sergio Marchionne era, in effetti, non particolarmente inconsueta rispetto all’attuale palcoscenico dei grandi Gruppi industriali: fermamente convinto che soltanto le alleanze di altissimo livello riescano a mantenere in attivo i big player, Marchionne riteneva che nel futuro il settore dell’auto avrebbe contato su quattro o cinque grandi Gruppi di primo piano. Sarebbe dovuta essere, questa, la sua ultima grande impresa, prima di consegnare al suo successore le chiavi di un Gruppo risanato. Così non fu. In tempi recentissimi, ha tenuto banco per diverse settimane la vicenda di eventuale fusione tra Fca e Renault-Nissan-Mitsubishi: le trattative con i vertici della Marque à Losanges (e, di riflesso, con lo Stato francese che di Renault detiene il 15%) sono state portate avanti da John Elkann, il nipote di Gianni Agnelli che gli è succeduto nell’incarico di presidente. Lo stesso Elkann si è preso la responsabilità di far saltare il banco, una volta visto che le condizioni di accordo non sarebbero state favorevoli (non eque, in ogni caso).
Elettrificazione e guida autonoma
Ciò su cui, ad essere obiettivi, Sergio Marchionne dimostrò di non credervi sullo stesso piano dei grandi concorrenti internazionali (o almeno: se ne accorse soltanto in un secondo momento) fu l’elettrificazione e la guida autonoma: l’annuncio del primo modello 100% “zero emission”, la Fiat 500 elettrica che dal 2020 verrà prodotta a Mirafiori, è recentissimo, per quanto è ipotizzabile che Marchionne stesso lo avrebbe annunciato, magari quale ultimo atto della sua gestione Fca prima del passaggio del testimone. Altri importanti accordi, in materia hi-tech, sono stati raggiunti nell’ultimo anno: le partnership ed intese internazionali con Samsung-Google, Aurora e Ten Cent, i programmi di innovazione messi in atto insieme ad Enel X ed Engie. Nel frattempo, il mondo ha già salutato le versioni ad alimentazione ibrida di Fiat 500X e Jeep Renegade (accomunate dalla medesima piattaforma), entrambe allestite a Melfi: dagli stessi impianti si attende Jeep Compass (2020). Sul fronte Maserati, il prossimo anno prenderà il via la produzione di Alfieri. L’obiettivo al 2022 riguarda la piena occupazione: e anche questo, quando verrà raggiunto, sarà un risultato a suo tempo indicato da Marchionne.
Il ricordo di John Elkann
L’eredità di Sergio Marchionne è, oggi, suddivisa fra quattro top manager: il presidente John Elkann, l’amministratore delegato Mike Manley, il numero uno per le attività EMEA Pietro Gorlier, il controllore dei conti Richard Palmer. “A un anno dalla scomparsa di Sergio Marchionne, l’esempio che ci ha lasciato è vivo e forte in ognuno di noi. Quei valori di umanità, responsabilità e apertura mentale, di cui è sempre stato il più convinto promotore, continuano a guidare le nostre aziende. La ricerca dell’eccellenza, tanto dei risultati quanto del modo in cui raggiungerli, è parte integrante di ognuna di esse”, osserva il presidente Fca in una nota diramata nelle scorse ore. “A Sergio piaceva descrivere FCA, CNH Industrial e Ferrari come aziende ricche di donne e uomini di virtù. Persone che sentono la responsabilità di ciò che fanno, che agiscono con decisione e coraggio, che non si tirano indietro quando si tratta di dare il buon esempio. Se le nostre aziende sono così oggi, lo dobbiamo anche a lui”. “Gli saremo sempre grati per averci mostrato, con l’esempio, che l’unica cosa che conta davvero è non accontentarsi mai della mediocrità, essere sempre ambiziosi nel cambiare le cose in meglio, lavorando per la collettività e per il nostro futuro, mai per sé. Oggi c’è chi ricorda il leader illuminato, chi ricorda l’uomo, chi l’amico. Tutti noi lo ricordiamo con immenso affetto”.