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I benzinai minacciano uno sciopero di 7 giorni

Di Andrea Barbieri Carones
Pubblicato il 16 gen 2012
I benzinai minacciano uno sciopero di 7 giorni
Le associazioni dei distributori di benzina minacciano sciopero di 7 giorni per protesta contro le liberalizzazioni del governo. Date da stabilire.

Le associazioni dei distributori di benzina minacciano sciopero di 7 giorni per protesta contro le liberalizzazioni del governo. Date da stabilire.

I benzinai di tutta Italia minacciano uno sciopero di 7 giorni per protestare contro il decreto legge del governo Monti che punta a liberalizzare diversi settori, tra cui quello dei carburanti.

Una nota diramata da Figisc e Anisa, due delle associazioni dei gestori dei distributori, afferma che “le modalità e le date precise della serrata saranno decise nei prossimi giorni alla lulce delle decisioni definitive che assumerà l’esecutivo”.

Fin d’ora, però, si sa che l’eventuale scioperò sarà di lunga durata e comprenderà 7 giorni di stop, anche se non è chiaro se si tratta di giornate consecutive o scaglionate.

La nota di queste associazioni – la prima riunisce i distributori della rete stradale ordinaria, mentre la seconda quelli della rete autostradale – prosegue dicendo che “La scelta di intervenire legislativamente sull’esclusiva di fornitura nella rete carburanti non produrrà alcun effetto sui prezzi, ma otterrà il risultato di far espellere i gestori dalla rete alla scadenza dei loro contratti e di far rendere loro dalle aziende petrolifere e dai retisti convenzionati la vita ancor più impossibile fin da subito. Non solo, perché la norma che autorizza gli impianti a funzionare 24 ore su 24 solo nella modalità self service senza più la presenza dell’operatore è un altro grossissimo chiodo piantato sulla bara della categoria. Insomma, ci vuole davvero coraggio a sostenere che queste siano le misure di sviluppo necessarie a far uscire dalla crisi economica il Paese”.

Figisc e Anisa hanno sottolineato poi che la percentuale che percepisce il gestore dei distributori si aggira sul 2%, mentre la quota che va sotto la voce “imposte” tocca il 60%. E gli aumenti hanno fatto sì che se un anno fa i prezzi italiani erano al decimo posto in Europa, oggi sono al primo.

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