Se n'è andato Antonio Pucci: addio al "Gattopardo Volante"
Ci lascia a 86 anni il barone Antonio Pucci, uno dei più grandi interpreti della insidiosa e affascinante Targa Florio
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“Staccai il contatto ed il motore si fermò dando l’ultima scarica di vibrazioni alla macchina…mille mani si protesero verso lo sportello della mia Porsche e credo d’essere stato portato fuori dall’abitacolo a forza…hai visto, ce l’abbiamo fatta, riuscii a urlare al mio partner Colin Davis“.
Così il barone Antonio Pucci, il “Gattopardo Volante” ricorda la sua trionfale galoppata in Targa Florio, nel 1964, quando riuscì al volante di una Porsche 904 ad aggiudicarsi la gara. Che non era soltanto una corsa meravigliosa. Era molto di più, per gli isolani una sorta di talismano, un miscuglio di fantasia e di intelligenza, di amore del rischio, di rigore tecnico, di veleno agonistico e di squisito profumo.
Quel profumo di zagare Antonio Pucci non lo respirerà più. Ci ha lasciati all’età di 86 anni in una assolata Palermo. Lui che credevamo ormai immortale. Che non aveva rinunciato, solo pochi anni fa, quando lo avevamo di nuovo incontrato vicino a Castellana, a due passi dalle sue terre, ad offrirci il classico Campari, mentre ripercorrevamo con nostalgia tutte le curve della vecchia Targa.
Questo successo il giovane Antonio lo aveva sognato per anni. Da quando il padre appassionato di corse, comprò a Cerda, subito dopo la gara, nel 1926, la Bugatti di Meo Costantini che si era aggiudicato la corsa. Quanti sogni su quella macchina, nella quale il “barone” non raggiungeva con i piedi la pedaliera…
Quella vittoria fu un successo personale di Antonio Pucci. Il suo coequipier, l’inglese Colin Davis non amava i circuiti stradali, i percorsi faticosi, perché non reggeva a lungo la fatica. E Huschke Von Hainstein, il direttore sportivo della Porsche lo sapeva bene e per non correre rischi aveva deciso di farlo gareggiare solo per tre giri, lasciando a Pucci tutta la parte iniziale e conclusiva della corsa.
Che ribadiva che questo successo, oltre al significato sportivo, rappresentava il miglior riconoscimento per la figura del padre, che della Targa Florio fu tra i massimi animatori, e un omaggio alla gente di quelle campagne che sembrava lottare, con i piloti locali, curva dopo curva, fino alla vittoria.
Ciao “barone”, non riusciremo più a berci quel Campari assieme. Ma ti prometto che la prossima volta che scenderò fino a Scillato, all’ombra dei tuoi aranceti, tornerò a cercarti. E insieme ritorneremo sul mito della Targa Florio.
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