La vettura a motore rotativo più venduta di sempre rimane un’icona per gli appassionati. Ripercorriamone la carriera di produzione e sportiva.
C’è un solidissimo “fil rouge” tra Mazda e la “nicchia” di mercato occupata dalle vetture di intonazione spiccatamente sportiva; e, nel contempo, il motore rotativo – uno dei “marchi di fabbrica” che, insieme ad una impostazione di stile sempre improntata alla personalità ed alla coerenza formale, per decenni ha costituito uno dei biglietti da visita tecnologici-simbolo per il marchio di Hiroshima – è sempre stato ben presente nei cassetti dei tecnici giapponesi. Tutte “voci” che tornano insieme nel layout di Mazda MX-30, il nuovo crossover ad alimentazione 100% elettrica che ha fatto bella mostra di se in occasione del Salone di Tokyo 2019 e sarebbe potuto essere una delle anteprime di rilievo all’edizione 2020 del Salone di Ginevra, cancellata in extremis dal Consiglio federale di Berna a causa dell’espandersi dell’emergenza da Coronavirus. Una situazione che, tuttavia, non ha impedito ai vertici di Hiroshima di annunciare l’imminente debutto della novità “zero emission a ruote alte”, le cui prime consegne sono previste per settembre 2020 (i prezzi partono da 34.900 euro) e che viene declinata in tre linee di allestimento: “Executive”, “Exceed” ed “Exclusive”, più la variante Launch Edition commercializzata nei mesi scorsi e mantenuta in listino fino al prossimo 30 aprile.
Sebbene del tutto inedita per impostazione di carrozzeria (sul corpo vettura, gli stilisti Mazda hanno adottato una precisa evoluzione stilistica della conosciutissima filosofia “Kodo Design”, qui rivolta ad un approccio “Human Modern”ed a sua volta amplificata dal ricorso a comandi hi-tech e materiali ecosostenibili, come il sughero che ricorda, a 100 anni dalla fondazione di Mazda, le origini industriali dell’azienda, ed i tessuti realizzati con il 20% di filato riciclato per il rivestimento dei sedili e dei pannelli delle portiere), Mazda MX-30 possiede nel proprio DNA alcuni elementi genetici propri della tradizione Mazda.
MX-30: avrà anche un sistema di motore rotativo ausiliario?
Un design ampiamente riconoscibile, prima di tutto; e, sotto il cofano, quella soluzione del motore rotativo appunto mai dimenticata e che molti enthusiast si augurano che arrivi quanto prima. In questo caso, sebbene non disponibile da subito, è possibile attendersene l’adozione nei prossimi mesi. Ovviamente non in qualità di sistema di propulsione principale, che è e resta 100% elettrico (l’unità a zero emissioni, alimentata da una batteria agli ioni di litio da 35,5 kWh, eroga una potenza massima di 143 CV ed una forza motrice da 265 Nm di coppia massima), quanto in ordine di offrire ai clienti un veicolo che sia in grado di assicurare capacità di autonomia superiori in rapporto ai pure rispettabili 200 km nel ciclo combinato Wltp e 262 km nel ciclo urbano Wltp già comunicati. L’anticipazione, perché di questo si tratta seppure un prossimo ritorno del motore rotativo (nel ruolo di unità ausiliaria) sia nell’aria da tempo, arriva da un comunicato Mazda, nel quale si indica che “L’azienda ha sviluppato un prototipo Mazda2 EV con un piccolo motore a singolo rotore utilizzato come range extender per ampliarne l’autonomia. Gli ingegneri Mazda stanno studiando un sistema simile per Mazda MX-30, il nuovo SUV crossover elettrico che arriverà quest’anno nelle concessionarie”.
Tante illustri antenate
La tecnologia di propulsione a motore rotativo, per Mazda, è di vecchia data, e risale all’inizio degli anni 60, quando a Hiroshima venne creato il reparto “Mazda Rotary Engine Research Division”, finalizzato allo sviluppo di uno sviluppo del motore rotativo “tipo Wankel”; per l’occasione, Mazda puntò i propri riflettori su semplicità di costruzione, prestazioni ed efficace erogazione delle curve di potenza. La prima applicazione fu la piccola Mazda Cosmo Sport 110S che venne svelata al Salone di Tokyo 1964; fecero seguito, in rapida successione, i modelli RX-2, RX-3 ed RX-4, RX-5 e, via via, RX-7, Eunos Cosmo ed RX-8, che debuttò nel 2003 e, congedandosi nel 2012, costituì il canto del cigno per lo sviluppo Mazda in tema di motori rotativi (tecnologia che ha avuto una notevolissima appendice agonistica, dalle categorie Turismo alle serie GT, fino al culmine rappresentato dalla vittoria alla 24 Ore di Le Mans 1991). Fu, tuttavia, un “Arrivederci”, che probabilmente presto saluterà il ritorno al motore rotativo quale sistema ausiliario per la ricarica delle batterie. Staremo a vedere.
Genesi della leggendaria coupé RX-7
Nel frattempo, fra i festeggiamenti per i cento anni dalla fondazione dell’azienda, Mazda richiama l’attenzione degli appassionati sulla indimenticata RX-7, leggendaria coupé (e anche spider) prodotta in tre serie consecutive, dal 1978 al 2002, che per immagine, appeal e (più “prosaicamente”) longevità e volumi di produzione, contende in un certo senso alla “icona” Mazda MX-5 la palma di modello sportivo-simbolo per il marchio di Hiroshima: se la baby-roadster (anche Coupé a tetto rigido retrattile RF nell’ultima attuale generazione) ha già superato il traguardo dei trent’anni ed il milione di esemplari venduti, Mazda RX-7 non si è fermata troppo lontano da queste cifre di mercato. Anzi, viene celebrata per un primato che ben difficilmente troverà un nuovo sfidante: con più di 800.000 esemplari venduti (811.634, ad essere precisi) è la vettura a motore rotativo più venduta di sempre. Nessun dubbio, quindi, che Mazda RX-7 occupi un posto ben saldo nel “club” dei modelli che hanno fatto la storia.
Obiettivo: distinguersi
Come si accennava, alla base della “vision” Mazda c’è la costante volontà di creare un proprio percorso tecnologico ben distinto dalla “concorrenza”. Nello specifico, l’evoluzione del motore rotativo che, peraltro, in fase di progettazione di quella che più avanti avrebbe esordito sul mercato come RX-7, attraversava una fase particolarmente delicata. La crisi petrolifera del 1973-74, con la conseguenza degli aumenti “stellari” per i carburanti e l’attenzione dei progettisti rivolta verso sistemi di propulsione più convenzionali e meno “assetati” rispetto alla “vecchia” generazione dei propulsori rotativi, rischiava di accantonare questa peculiarità tecnica dai taccuini degli ingegneri Mazda. A… salvare la situazione, in un’ottica più attuale, fu l’allora responsabile della Divisione Ricerca e Sviluppo Mazda, Kenichi Yamamoto, che ebbe il coraggio di opporsi ad un eventuale mutamento tecnico del marchio di Hiroshima verso motori a quattro tempi a pistone-biella, sostenendo quanto il motore rotativo fosse cruciale per l’azienda come elemento di distinzione. Del resto, Yamamoto era in possesso di una solida esperienza in fatto di motori a pistone rotante, avendo guidato il team di ingegneri che negli anni 60 avevano sviluppato i primi motori rotativi Mazda. Da qui, la decisione di “revisionare” l’unità motrice “12A”, nell’ottica di migliorarne in maniera significativa i consumi ed affinarne la lubrificazione (altro tallone d’Achille del motore tipo Wankel), intervenendo sui segmenti di tenuta in modo da renderli più resistenti.
“Fatto il motore, facciamo l’auto”
Trovata una prima soluzione di aggiornamento alla propulsione, non restava che applicare il nuovo motore ad una vettura tutta nuova. La quadratura del cerchio arrivò con lo studio di una coupé elegante e dalle linee slanciate, ideale – con il suo frontale “a cuneo” cui faceva da contrasto il disegno avvolgente del lunotto, secondo la nuova moda della seconda metà degli anni 70 – ad assecondare dal punto di vista stilistico le peculiarità di propulsione.
In Italia arrivò nell’autunno del 1979
Nacque così Mazda RX-7. Il debutto della prima generazione, allestita sulla piattaforma “FB”, avvenne, in Giappone, nel 1978; in Europa, sbarcò l’anno successivo. In Italia, la nuova sportiva Mazda fece il proprio esordio nell’autunno, ad un prezzo che partiva da 11.700.000 lire (più o meno quanto un’Alfa Romeo Alfetta 2000L, tuttavia 2 milioni e mezzo di lire in meno rispetto a Porsche 924, la coupé 2 litri di Zuffenhausen cui la novità RX-7 si poneva quale diretta competitor).
Da 105 a 115 CV
La prima serie di Mazda RX-7 venne equipaggiata con un doppio rotore (573 cc x2), collocato in posizione centrale fra avantreno e abitacolo (in modo, cioè, di contribuire alla distribuzione dei pesi, al carico sull’anteriore ed alle doti di tenuta di strada e maneggevolezza), per una potenza massima di 105 CV a 6.000 giri/min ed una forza motrice di 147 Nm a 4.000 giri/min. Un moderato restyling, nel 1981, aggiornò alcuni elementi esterni e, dal punto di vista della meccanica e della dinamica, guadagnò 10 CV (115 CV), un nuovo studio alla geometria delle sospensioni anteriori e l’adozione dei freni a disco su tutte e quattro le ruote.
Seconda serie: la maturità
Con quasi 475.000 esemplari venduti nei primi otto anni di produzione, la prima serie di Mazda RX-7 passò il testimone di sportiva Mazda di riferimento alla seconda generazione. Al debutto (1986), RX-7 MkII venne proposta in una variante “aspirata” (146 CV) ed in una versione sovralimentata (182 CV). Alla Coupé, nel 1988 si aggiunse, sebbene per un limitato periodo di tempo (a reggere le sorti di Mazda “en plein air” era nel frattempo arrivata la piccola biposto roadster MX-5), una configurazione Cabriolet, che rimase in produzione per tre anni. Un “maquillage”, avvenuto nel 1989, aggiornò la potenza di Mazda RX-7 a 160 CV nella versione “atmosferica” (non più venduta in Europa) ed a 200 CV per il modello sovralimentato, che rimase l’unico ad essere venduto in Italia (versione RX-7 Turbo II dal ricorso ad accessori e componenti di allestimenti di classe superiore).
Terza serie: si punta tutto sulle prestazioni
Con l’ultima generazione, che arrivò sul mercato nazionale a fine 1991 e, per l’esportazione in gran parte dell’Europa, venne mantenuta fino al 1996 (lo stop alle vendite venne interrotta causa delle norme sulle emissioni, sebbene Mazda continuasse a produrla per i mercati con guida a destra, aumentandone la potenza fino a 280 CV sui successivi modelli riservati al Giappone) , Mazda RX-7 abbandonò qualsiasi precedente eredità di coupé sportiva per trasformarsi in una vera e propria “Gittì” high performance. Nuova l’unità motrice (il birotore della nuova famiglia “13B REW con sistema di iniezione a doppi iniettori per ciascun rotore L-Jetronic MAP-Manifold Absolute Pressure progettato da Bosch, doppia accensione per ogni rotore, doppi turbocompressori ad azionamento sequenziale sviluppate in partnership con Hitachi per garantire una elevata e costante coppia fin dai bassi-medi regimi, ed intercooler) che per il Giappone sprigionava 255 CV e, per l’Europa, “si limitava” a 239 CV; nuovo anche lo schema delle sospensioni (doppi bracci triangolari all’avantreno; sistema multilink al retrotreno) e del controllo del rollio (barra duomi regolabile all’anteriore, barra duomi “fissa” al posteriore). Così equipaggiata, Mazda RX-7 terza serie offriva all’appassionato una velocità massima di 250 km/h (autolimitati) ed un tempo di 5”5 per lo scatto da 0 a 100 km/h.
L’acuto grido del rotativo che spiccava nel “gruppo”
L’”urlo” lacerante del birotore Mazda, che gli enthusiast ben conservano nelle orecchie quando tornano con la memoria alla spettacolosa Gruppo C 787 del 1990 ed alla evoluzione 787B che nel 1991 (con Johnny Herbert, Volker Weidler e Bertrand Gachot) trionfò alla 24 Ore di le Mans, è stato protagonista anche nelle serie Turismo e GT. Mazda RX-7 annovera, fra i risultati di maggiore rilievo nella propria carriera agonistica, la vittoria nella classe 1.6-2.3 del British Saloon Car Championship nel 1980 e nel 1981; una chiara dimostrazione di affidabilità avendo portato a termine la 24 Ore di Spa-Francorchamps 1981; e, oltreoceano, più di 100 gare della serie IMSA, un incontrastato dominio della classe GTU (fino a 2.5), ed un monologo durato dodici anni (dal 1982 al 1993) alla 24 Ore di Daytona. Ulteriore prova delle proprie doti anche in Australia, dove Mazda RX-7 si aggiudicò tre titoli Endurance nazionali (1982, 1983, 1984) e nuovi successi alla classicissima 12 Ore di Bathurst, sul circuito di Mount Panorama (1992-95).