Oggi c’è Antonio Giovinazzi nel ruolo di testimone dell’Italia in Formula 1: in più di settant’anni di storia, la bandiera nazionale è stata una delle più sventolate; ecco una carrellata di alcuni dei principali interpreti “tricolori” nella massima Formula.
Vincenti e amatissimi. O “poco” vincenti in senso assoluto ma ugualmente cari al grande pubblico: sono due dei sentimenti che molti piloti, così come ogni categoria di sportivi, suscitano negli appassionati. A maggior ragione se si tratta di portabandiera del “Tricolore”. Gli esempi sono numerosi, sebbene da alcuni anni meno numerosi che in passato, e non sempre per demerito degli stessi (al contrario). Con la stagione 2022 di Formula 1 alle porte, ecco una rassegna di alcuni dei piloti “nazionali” protagonisti dell’”epoca d’oro” della massima Formula.
Nino Farina
Per età (era nato a Torino nel 1906) è uno dei piloti di primo piano nell’era di transizione dei Gran Premi verso l’”epoca moderna”, che si può far coincidere con l’inizio del Campionato del mondo Piloti, inaugurato nel 1950 e che vide, primo iridato nonché primo vincitore di un GP valevole per il titolo mondiale, il dottore in Scienze Politiche, figlio di Giovanni Farina (fondatore della Carrozzeria “Stabilimenti Farina”) nonché nipote di Giovanni Battista Farina che a sua volta aveva dato vita a Pininfarina. Il suo destino era dunque segnato: e i risultati gli diedero piena ragione. Considerato allievo prediletto di Tazio Nuvolari, Nino Farina (che insieme a Juan Manuel Fangio e Luigi Fagioli costituiva una delle “tre Effe” della squadra Alfa Romeo che dominò le prime due stagioni del Mondiale), ebbe una carriera lunghissima: dal 1925 al 1957, con cinque vittorie in Formula 1, cinque pole position, cinque giri più veloci, venti volte sul podio e due partecipazioni (1956 e 1957) alla 500 Miglia di Indianapolis.
Alberto Ascari
Nel 2022 si celebrano settant’anni dalla conquista del primo titolo mondiale (1952) da parte del fuoriclasse milanese (incidentalmente “figlio d’arte”: il padre fu il leggendario Antonio Ascari che insieme a Gastone Brilli-Peri e Giuseppe Campari componeva il “tridente di punta” dell’Alfa Romeo dominatrice dei “proto-Campionati del mondo” 1924 e 1925 e scomparve tragicamente a Montlhéry, durante il GP di Francia 1925). Di Alberto Ascari, autentica “stella nazionale” della prima metà degli anni 50 e che, se alla sua epoca il Mondiale Costruttori fosse già esistito (non venne istituito che nel 1958: la prima ad aggiudicarselo fu Vanwall), sicuramente sarebbe stato appannaggio di Ferrari, moltissimo è stato scritto, raccontato e vissuto. Ci limitiamo ad indicare i principali risultati sportivi dal 1950: due titoli mondiali (1952 e 1953), 33 Gran premi disputati, 13 vittorie, 14 pole position, 12 giri più veloci e 17 volte sul podio.
Lodovico Scarfiotti
Se Alberto Ascari è finora l’unico pilota italiano ad essersi fregiato del titolo mondiale, l’indimenticato “Lulù” Scarfiotti è l’ultimo ad avere ammantato con il Tricolore il GP d’Italia: dal 1966, la vittoria a Monza manca nel carnet dei piloti di casa nostra. Si potrebbe, un po’ “alla lontana”, considerare “quasi italiani” Clay Regazzoni (svizzero ticinese amatissimo al di qua delle Alpi) che a Monza vinse nel 1970, oltre a Rubens Barrichello e Daniel Ricciardo (che hanno effettivamente origini italiane), vincitori nel “Tempio della Velocità” rispettivamente nel 2002, 2004 e 2009 (Barrichello) e nel 2021 (Ricciardo). Resta tuttavia, come ultimo trionfatore a Monza, il nome del campione marchigiano, ma torinese di nascita, che morì nel giugno del 1968 durante le prove della cronoscalata di Rossfeld, in Germania, mentre era al volante di una delle Porsche 908 ufficiali. Protagonista di un’epoca leggendaria, Lodovico Scarfiotti fu uno degli ultimi piloti in grado di esternare le proprie grandi qualità tanto in pista quanto nelle corse su strada.
Lorenzo Bandini
Prototipo del “self-made man”: arrivato ai vertici del Motorsport dopo una lunga gavetta iniziata in officina, e proseguita gradino per gradino nelle varie categorie, dalle prime corse in salita per approdare alla massima Formula, alle vetture Sport ed ai prototipi, Bandini resta, insieme a Scarfiotti (con cui vinse in coppia la 24 Ore di Le Mans 1963) il pilota italiano più amato negli anni 60. Gli appassionati con più di un capello grigio lo ricordano con l’affetto di sempre, i più giovani ne conoscono le imprese per essersele fatte raccontare. In poche parole: è uno dei protagonisti di un’epoca indimenticabile. Le sue due ultime vittorie, nel 1967 (prima del fatale rogo al GP di Monaco) restano negli annali: alla 1000 Km di Monza e, all’inizio di stagione, alla 24 Ore di Daytona, nel leggendario “Uno-due-tre” con la tripletta di Ferrari 330 P4 sul traguardo del circuito della Florida come diretta replica della “parata” Ford a Le Mans dell’anno prima.
Arturo Merzario
Cosa si può dire, che non sia già stato scritto, dell’inossidabile campione lariano, nato a Civenna (Como) l’11 novembre 1943, e di fatto tuttora attivissimo nel mondo del Motorsport? Il popolarissimo “Cowboy” (per via dell’inconfondibile cappellone bianco che da più di mezzo secolo ama sfoggiare in ogni occasione) “sa” di corse come forse pochi altri al mondo. Nel 2002 festeggia sessant’anni dal suo debutto al volante (Coppa FISA a Monza 1962, su Alfa Romeo Giulietta Spider), è dal 2010 presidente onorario della Scuderia del Portello, ha fondato un proprio team che gli ha permesso di entrare nel ristretto club dei piloti-costruttori, e ha corso su tutti i tipi di vetture: monoposto (F1 su Ferrari, Iso-Williams, Copersucar, March, sulla sua monoposto Merzario; F2, su Tecno e ancora sulla vettura che portava il suo nome; in un’occasione anche in F3), GT, Sport-prototipo, Turismo. Due volte vincitore alla Targa Florio (1972, su Ferrari 312P con Sandro Munari; 1975, su Alfa Romeo 33TT12 con Nino Vaccarella), due volte trionfatore al Circuito Stradale del Mugello (1969 e 1970, in entrambe le occasioni su Abarth 2000), viene ricordato anche per avere estratto vivo Niki Lauda dal rogo della sua Ferrari al Nurburgring nel 1976.
Elio De Angelis
Uno dei piloti italiani degli anni 80 più rappresentativi, e che raccolse forse meno di quanto avrebbe meritato. Nato a Roma nel 1958, virtuoso del pianoforte, appassionatissimo di musica blues, si mise in luce nella seconda metà degli anni 70 con i kart, dove fu tra i protagonisti della scena nazionale. Campione italiano di F3 nel 1977, trionfò l’anno seguente al GP di Monaco della categoria cadetta, storico trampolino di lancio verso la massima Formula dove approdò, nel 1979, su Shadow ed in cui conquistò i primi punti iridati (quarto assoluto al GP USA Est). Nel 1980 entrò in Lotus, a fianco dell’espertissimo Mario Andretti, per mettersi subito in luce con un secondo posto al GP del Brasile. Seguirono sei stagioni alla corte di Colin Chapman, e due vittorie: al GP d’Austria 1982 e al GP di San Marino 1985. Una stagione particolarmente complessa, quest’ultima: sebbene terminata al quinto posto finale, venne contrassegnata da rapporti non facili con il nuovo compagno di squadra Ayrton Senna. Tanto che per il 1986 avvenne il passaggio in Brabham, con la nuova BT55 disegnata da Gordon Murray. Ciò che avvenne il 14 maggio 1986 è purtroppo storia: durante una sessione di test al Paul Ricard, la sua monoposto perse l’alettone posteriore e si schiantò contro una barriera, si ribaltò e prese fuoco. Trattandosi di una sessione di test privati, all’epoca non c’era l’obbligo dell’elisoccorso. Fu questa una delle cause che pesarono sulla sua scomparsa.
Bruno Giacomelli
Formula 1, Formula 2, Champ Car, Endurance, Turismo, e Alfa Romeo. In mezzo, una gavetta fatta di molti mestieri (tipografo, disegnatore di rubinetti, addetto alle macchine utensili ed alle riproduzioni artistiche) per potere permettersi di correre. Il pilota bresciano, nato a Poncarale nel 1952, iniziò con le moto, alla fine degli anni 60, per poi debuttare in Formula Ford nel 1972, dopo avere frequentato la celebre scuola di pilotaggio di Henry Morrogh. Tornato in monoposto nel 1974, al volante di una Formula Italia, vinse il titolo nazionale nel 1975. Emigrato nel Regno Unito nel 1976 per dedicare tutto se stesso alle gare, venne assunto in March dove esordì in Formula 3 e vinse il GP di Monaco. Nel 1978 trionfò nell’Europeo e nell’Italiano di F2, e fece il proprio debutto in Formula 1, al GP d’Italia, al volante della terza McLaren, dove rimase (ribattezzato simpaticamente “Jack O’Malley” dai tifosi di oltremanica) anche nel 1978. Seguì il celebre quadriennio in Alfa Romeo, che proprio con Giacomelli – convocato dai vertici del “Biscione” per sostituire Vittorio Brambilla infortunatosi seriamente durante il tragico GP d’Italia 1978 in cui Ronnie Peterson aveva perso la vita – fece il proprio ritorno nei Gran Premi. La carriera dell’appassionatissimo bresciano proseguì in Toleman, nel 1983, in Formula Indy nel 1984 e nel 1985, e successivamente fra Endurance, Interserie e Mondiale Turismo, fino a tornare nella massima Formula nel 1990, con il progetto Life, la monoposto con motore 12 cilindri a W (progettato dall’ex ferrarista Franco Rocchi), tecnicamente interessante ma per nulla competitiva.
Riccardo Patrese
Rimane, a trent’anni esatti di distanza, l’ultimo pilota italiano ad avere combattuto per il titolo mondiale di Formula 1. Nel 1992, il padovano classe 1954 era a fianco di Nigel Mansell nella stagione-schacciasassi con la Williams FW14B motorizzata Renault. Una vittoria (GP del Giappone), per sei volte sul secondo gradino del podio, terzo in due occasioni furono il ruolino di marcia che gli valsero la posizione d’onore alla fine del Campionato. Alle spalle, tuttavia, c’erano ben quindici stagioni complete nella massima Formula, con otto vittorie, nove pole position, sei giri più veloci e trentasette piazzamenti sul podio, al volante, oltre che delle Williams dove aveva esordito nel 1987, anche di Shadow, con cui aveva debuttato nel 1977 (dopo avere vinto, rispettivamente, il Mondiale kart nel 1974, l’Italiano di F3 nel 1976, l’Italiano di F2 nel 1977 e l’Europeo di F3 nello stesso 1976), Arrows (per tre anni: dal 1978 al 1981), Brabham (1982 e 1983), Alfa Romeo (1984 e 1985), nuovamente in Brabham (1986 e 1987).
Michele Alboreto
Immenso talento, eccezionali doti umane e tantissima ambizione. Il ragazzo che, senza una famiglia facoltosa alle spalle seppe in pochi anni salire dalle più piccole monoposto della Formula Monza fino ai vertici della Formula 1 (con le cinque stagioni in Ferrari, dal 1984 al 1988, rimaste memorabili anche perché culminate nella delusione del titolo mondiale 1985 alla sua portata e perso per una serie di cedimenti meccanici e, nel 1988, con la scomparsa di Enzo Ferrari con cui lo legava un grande affetto), e da lì alla Formula Indy, al DTM, all’IMSA ed al Mondiale Endurance, è rimasto nel cuore di milioni di tifosi. Forse perché in molti hanno sempre visto in lui, partito dai gradini più bassi del Motorsport, la stessa enorme passione che anima chi per mille motivi non ha mai potuto mettersi al volante di un’auto da corsa. Michele Alboreto era così: sempre pronto a dare il massimo, qualsiasi vettura si fosse trovato a guidare, e a farsi amare dalle folle.
Andrea De Cesaris
Una carriera iniziata nel 1972 con i kart (dove nel giro di pochi anni divenne campione italiano ed europeo), proseguita nelle monoposto della Formula SuperFord, in Formula 3 oltremanica, nell’Europeo di Formula 2. Duecentootto Gran Premi dal 1980 al 1994, una pole position, cinque volte sul podio, un giro più veloce. Tanta, tanta passione ed un carattere indomito che per istinto lo portava sempre a voler dare “qualcosa in più” di personale alla monoposto. Qualsiasi vettura fosse (e di vetture, in quindici stagioni complete, ne guidò davvero tante: dieci per la precisione, ovvero Alfa Romeo, McLaren, Ligier, Minardi, Brabham, Rial, Bms-Scuderia Italia, Jordan, Tyrrell, Sauber), ed a prescindere dal fatto se questa fosse più o meno competitiva. Forse anche per questo (è naturale), in diverse occasioni fu protagonista di clamorose uscite di strada: episodi che nulla tolgono alla sua abilità di guida, anzi ne confermano la costante volontà di uomo sempre pronto a “gettare il cuore oltre l’ostacolo”. “Mandingo”, il soprannome che i tifosi italiani gli misero, ne descrive molto bene l’aggressività al volante. Un po’ meno generosi gli inglesi, che lo ribattezzarono “De Crasheris”.