Compie 40 anni la Porsche 914. La storia travagliata della “Porsche del popolo”, una vettura bella ma non capita
Compie 40 anni la Porsche 914. La storia travagliata della “Porsche del popolo”, una vettura bella ma non capita
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A Stoccarda se ne accorgono solo ora. E celebrano il tributo ai “primi quarant’anni” della Porsche 914 con una mostra speciale, al rinnovato Museo Porsche: per l’occasione, nel fine settimana del 10 Maggio sarà esposta una delle due 914/8 (otto cilindri a V e 300 CV) realizzate alla fine del 1969 per pronosticarne un impegno agonistico ufficiale che, in pratica, non avvenne mai. L’esemplare esposto sarà quello appartenuto a Ferry Porsche, e che gli venne consegnato in occasione del suo 60esimo compleanno.
A vederla oggi, con il senno di poi nello sguardo, la linea della 914 è personale, perfino equilibrata nelle proporzioni fra la parte anteriore e la parte posteriore, separate da un passo discretamente lungo. Anzi, più che equilibrata, pressoché… uguale. E però, non piacque. Rimase in produzione per poco meno di sei anni: un lasso di tempo giudicato sufficiente, dai vertici di Stoccarda, per comprendere che la resa sul mercato non aveva ripagato gli investimenti produttivi. E, Cenerentola tedesca, uscì dalla porta di servizio di Stoccarda.
Non era servito mutare lo scudetto, da Volkswagen a Porsche. E nemmeno un aggiornamento dei motori e degli allestimenti (e la conferma dell’utilizzo dei celebri cerchi in lega Fuchs), dopo soli tre anni dalla sua presentazione. Anzi, una nuova motorizzazione “tutta VW” ne tagliò le gambe.
Una vettura non capita
Semplicemente: non piacque. Forse troppo costosa per essere una Volkswagen, forse troppo economica e lenta per essere una Porsche. Forse l’una cosa e l’altra. Forse, il confronto con la 911 (che era sul mercato da diversi anni e garantiva alla Casa di Stoccarda una larga fetta di clientela sportiva) era troppo forte.
Come dire: una lotta interna impari. Il mercato delle vetture sportive e di classe esigeva, 40 anni fa come oggi, auto potenti, filanti, generose. La 914, invece, era più discreta, forse più razionale e “teutonica” nella sua impostazione; seguiva in misura maggiore i dettami della moda a cavallo fra i ’60 e i ’70: linee squadrate, poca concessione alle stravaganze stilistiche.
Forse, i tecnici della VW e della Porsche azzardarono un progetto troppo innovativo: la vettura sportiva per tutti, dunque “pepata” ma non troppo, con una meccanica presa pari pari dalla produzione di serie Volkswagen. Dimenticarono che la clientela sportiva bada al sodo, ovvero alle prestazioni. Altro che il bagagliaio in due parti (anteriore e posteriore) con 460 litri di capienza complessiva.
Eppure, la Porsche 914 era ed è bella. Una bellezza discreta, interiore, che può non colpire al primo sguardo. D’altro canto, è pur sempre una creatura nata dalla matita dei tecnici della Karmann.
La lunga gestazione
Quando venne presentata – al Salone di Francoforte del Settembre 1969 in due versioni: 1.7 a 4 cilindri, basata sul blocco del Maggiolone 1600 cc; e 2.0 a 6 cilindri: lo stesso motore Boxer della 911 T – la sua storia era già lunga. Già nella metà degli anni ’60, infatti, era chiaro che la gloriosa coupé Karmann (basata sul telaio e sulla meccanica del Maggiolino) sarebbe stata rimpiazzata.
Allo stesso tempo, in casa Porsche si desiderava creare una vettura che colmasse il vuoto lasciato nel segmento 1600 – 2000 cc (la produzione della 356 era agli sgoccioli, e la neonata 911 2.0 già una vettura esclusiva…insostituibile).
Ferry Porsche ed Heinrich Nordhoff, l’Amministratore delegato della VW, nel 1966 crearono una joint venture fra le due Case. Durante la gestazione del progetto, però, Nordhoff scomparve, e il suo successore, Kurt Lotz, chiese e ottenne l’annullamento del gentlemen’s agreement (verbale) stipulato fra Porsche e Nordhoff per far debuttare la 914 con il marchio VW. Ovviamente, questo comportò dei problemi, ai quali si ovviò con la presentazione a Francoforte della nuova vettura con il nuovo nome VW-Porsche.
Una storia travagliata
Non bastasse questo, durante la fase di progettazione e di messa a punto la disputa interna fra Porsche e Volkswagen per la paternità della vettura portò il progetto 914 sull’orlo del fallimento in più di una occasione.
Il Salone di Francoforte sembrava aver messo tutti d’accordo. Ma… qualcosa non andava ancora. E questo “qualcosa” stava proprio nel marchio di fabbrica. In poche parole: il mercato accolse in maniera molto fredda la “Volksporsche“, o “Porsche del popolo“. Un concetto che interessò la versione 1.7 (1679 cc a iniezione elettronica Bosch, 80 CV e architettura derivata in tutto e per tutto dal Maggiolone, a cominciare dalla distribuzione ad aste e bilancieri), come la 914-6, che dietro alla coppia di sedili profilati di nuovo disegno montava il 6 cilindri Boxer della 911 T: 1991 cc, alimentato da due carburatori tricorpo Weber 40IDA, 110 CV e distribuzione ad albero a camme in testa.
La grossa novità stava nella soluzione coupé-Targa: esteticamente Coupé, la vettura poteva essere “aperta” con la semplice rimozione del tettuccio rigido, che veniva sistemato dietro al motore.
La gamma iniziale era composta da 2 allestimenti: standard ed S per ciascuna delle due motorizzazioni (la S si distingueva per la centina in vinile nero, i cerchi in lega Fuchs e gli interni meglio rifiniti).
Tuttavia, le vendite scarseggiavano. Poche decine di migliaia di unità (una gran parte delle quali esportata negli USA) non bastavano a compensare l’impegno produttivo. Le prestazioni non erano giudicate esaltanti (soprattutto nella 1.7, con soli 80 cavalli), e le rifiniture non in linea con l’immagine della Porsche.
Di più: nemmeno l’impiego sportivo era all’altezza del marchio. Nonostante un buon impegno da parte di numerosi privati e, in sporadiche occasioni, l’impiego da parte della squadra ufficiale, uno dei migliori risultati restò il terzo posto assoluto al Rallye Monte Carlo del 1971, con Bjorn Waldegard al volante. Uno smacco, per una Casa che di Monte Carlo ne aveva già vinti due (1968, con Vic Elford, e 1970, con lo stesso Waldegard).
Gli ultimi anni: l’addio e la rinascita
Nel 1972 si tentò di restituire credibilità alla 914. La Volkswagen si ritirò dal “marchio in condominio” e la Porsche proseguì da sola, ma con la fornitura dei motori boxer dalla Casa di Wolfsburg. Come dire: un po’ tutto come prima.
La seconda serie, oggetto di un moderato maquillage (paraurti neri opachi anziché cromati, alcune modifiche agli interni) non montava più, infatti,il 6 cilindri 2 litri Porsche, ma un 4 cilindri a iniezione Volkswagen da 1971 cc e (soli) 100 cavalli. A questa versione venne affiancata una 1.8, con motore derivato dal 1.7 (cilindrata portata da 1679 a 1793 cc) e una modesta cavalleria: solo 85 CV.
Fu il canto del cigno per la 914. La seconda serie tagliò definivamente le gambe a quel barlume di gradimento che si era pure conquistata nei primi tre anni di produzione. Alla clientela non piaceva affatto il motore Volkswagen, e lo dimostrò con un progressivo calo delle ordinazioni.
Tanto che, nel 1975, la sua uscita di scena non sorprese nessuno. In totale ne furono costruiti 119 mila esemplari. Molti meno, dunque, dei 30 mila all’anno indicati come obiettivo iniziale. Il suo posto venne preso dalla 924, molto più Porsche.
Dopo diversi anni di oblio, questo singolare modello Porsche venne piano piano riscoperto, tanto che ora si contano, nel mondo, diversi club di appassionati (in Italia, da oltre vent’anni è attivo il Registro Italiano VW-Porsche 914) che forniscono assistenza, consigli, organizzano raduni.
Persino a Stoccarda se ne sono accorti: e il mese prossimo al Museo Porsche la 914-8 farà bella mostra di sé. Uno schiaffo morale a quanti, trenta e passa anni fa, storcevano il naso..
Ancora una volta: buon compleanno, 914, Porsche del popolo che non venne capita.