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Dieselgate: dopo VW anche Renault, ma…

Di Fabrizio Brunetti
Pubblicato il 10 feb 2016
Dieselgate: dopo VW anche Renault, ma…
Errata messa a punto del sistema di controllo emissioni, ma non volontaria alterazione del software per falsare i dati come per VW.

Errata messa a punto del sistema di controllo emissioni, ma non volontaria alterazione del software per falsare i dati come per VW.

La scoperta della commissione governativa francese sulle emissioni è che i valori del diesel 1,6 da 110 cv di Renault, la cui proprietà è appunto in maggioranza pubblica, sono veritiere e rispettano le regole previste solo tra 17 e 35 gradi di temperatura, mentre sono lontane dai limiti sopra e sotto tali temperature.

Imbarazzante no? Un’azienda automobilistica di proprietà pubblica viene pizzicata, con tanto di irruzione in tre stabilimenti di produzione, per i controlli (e sequestri) disposti da una commissione governativa, istituita alla fine di settembre, che ha iniziato a verificare le emissioni reali di molti costruttori.

Immediatamente la ministra dell’ecologia, Segonele Royal, si è affrettata a smentire dolo della “sua” azienda ed a minimizzare impatto e numeri del problema, in altre parole a ricacciare qualsiasi sospetto di “Renault come Volkswagen” e non avrebbe potuto fare altrimenti, data la sua posizione.

Renault parla subito di 17.000 Captur con motore diesel 1,6, euro 6 da 110 cv, da ritarare nella regolazione del software di controllo delle emissioni. Ma alcuni media stimano subito in 700.000 i veicoli da adeguare e aggiornare, considerando anche che quel motore è montato su 2/3 delle gamme Renault, Nissan e Dacia e che equipaggia la versione entry level della prestigiosa Mercedes Classe A.

Grande scorno, crollo del titolo in borsa, voci anche su Opel e Mercedes, immediate minacce di class action sulla scorta di quelle che stanno piovendo sulla testa del gruppo tedesco.

Ma su una cosa, fondamentale, la ministra ha ragione, anche se non si è espressa evidentemente con la chiarezza con la quale sto esponendo il caso. Nel caso di VW si è trattato di una vera e propria truffa, ideata e perpetrata proprio per alterare i risultati delle emissioni.

Renault invece (e presumibilmente altri costruttori) si è limitata a rispettare formalmente la delirante e truffaldina normativa europea in vigore che ancora prevede per l’omologazione del risultato consumi ed emissioni un test di 20 minuti (!), poco più di 11 km di percorrenza, a bassa velocità costante, con temperature comprese tra 20 e 30 gradi centigradi.

Già proprio così, sicché semplicemente il costruttore francese ha omesso di dichiarare i valori di emissione in tutte le altre condizioni di temperatura. Ora, a Parigi per esempio la temperatura media è inferiore a 17° per due terzi dell’anno, il che significa che per 8 mesi su 12 anche i valori di emissione omologati sono diversi e superiori rispetto a quelli rilevati, in maniera perfettamente legale, in sede di omologazione.

Dunque c’è un colpevole vero, il legislatore europeo che ha definito gli assurdi ed irrealistici parametri di controllo e certificazione, e un “complice” interessato, il costruttore, che con falsa ingenuità semplicemente omette di dichiarare le emissioni in condizioni d’uso reali e pubblicizza quelle “false” che la normativa gli consente.

La colpa di VW è certamente molto superiore, ma Renault – e chissà quali altri costruttori – ha furbescamente sfruttato una normativa che, più che limitare e definire, di fatto istiga all’inganno.

Vedremo gli sviluppi di  una storiaccia che è ancora solo all’inizio, sia per VW che per Renault, e che presumibilmente coinvolgerà man mano altri costruttori che, come Renault, avranno sfruttato con malizia le regole.

Prontamente FCA e Opel si sono affrettate ad aggiornare i loro Euro 6 perché abbiano emissioni più rispondenti al reale, indipendentemente dal valore omologato e, nel caso di FCA, offrirà a partire da marzo anche un aggiornamento per gli Euro 6 già venduti.

Il costruttore italo/americano ha evidentemente sottolineato che nonostante i suoi motori siano assolutamente in regola con le norme, per un “impegno etico” nei confronti dei propri clienti spontaneamente supera i parametri definiti per correttezza nella dichiarazione di consumi ed emissioni. Probabile che altri seguano la stessa strada, anche per evitare guai maggiori e crolli borsistici.

Nel frattempo però la commissione UE ha amabilmente approvato un sostanziale slittamento delle nuove norme che avrebbero dovuto entrare in vigore il prossimo anno, consentendo sforamenti nei parametri Euro 6 “fino al 110%” per il periodo settembre 2017/gennaio 2020 e fino al 50% oltre tale data, per dare ai costruttori più tempo per adeguarsi ai nuovi limiti, che implicano naturalmente costi elevati.

La commissione adombra il pericolo di ulteriori perdite di posti di lavoro e la chiusura di impianti  se le norme  non siano compatibili con il sostegno dei costi.

Capito? In definitiva due le considerazioni fondamentali. Da anni le emissioni omologate e dichiarate sono molto inferiori a quelle realmente emesse, con conseguenti danni per l’ambiente e le persone e costi difficili da valutare a carico della comunità.

Il problema fondamentale e urgente è quello di regole nuove che assicurino la veridicità dei risultati. I costruttori, e gli stati, non sono innocenti evidentemente.

Quelli tedeschi in particolare hanno esercitato ed esercitano forti pressioni per allungare i tempi di un adeguamento tecnico e tecnologico che ha costi molto elevati e per ora sono riusciti nell’intento.

La necessità di far presto è invece prioritaria e forse il maggior merito degli “scandali” che in soli quattro mesi hanno cambiato la percezione del problema sarà proprio quello di riuscire ad accelerare l’adeguamento delle norme rispetto alla melina opposta dai costruttori e dagli Stati stessi.

Tra le poche note positive l’accelerazione della diffusione e della sensibilità dei consumatori per veicoli ibridi, elettrici, a celle d’idrogeno, comunque a basse o zero emissioni.

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