A due mesi dalla “confessione del misfatto” si moltiplicano i problemi e i costi per il gruppo tedesco. Dove calerà la scure dei tagli?
A due mesi dalla “confessione del misfatto” si moltiplicano i problemi e i costi per il gruppo tedesco. Dove calerà la scure dei tagli?
Certo le conseguenze dello scandalo che ha travolto la galassia Volkswagen e tutti i suoi marchi principali, non ricadranno solo sul gruppo tedesco.
Ha effetti così clamorosi che inciderà negativamente e per tutti sull’avanzata dei diesel, sia a livello di vendite che di normative legate alle emissioni, cambierà finalmente le modalità di certificazione delle emissioni, rendendole, autonome, severe, realistiche e rilevate in condizioni di utilizzo normali.
Carlos Goshn, a capo del gruppo Nissan/Renault, è certo ad esempio che la brusca frenata del diesel accelererà la crescita in tempi rapidi dell’ibrido ed elettrico e in molti concordano con lui.
Il sistema dei controlli severi e reali sulle emissioni e relative certificazioni coinvolgerà man mano a tappeto tutti i produttori e modelli, con inevitabili contenziosi e aumento ulteriore dei costi.
Già perché la domanda che tutti si fanno è se, al di là delle modalità attuali di rilevamento di consumi ed emissioni, il dolo consapevole l’abbia architettato solo VW, dall’alto della sua tradizionale arroganza e contando su silenzi e connivenze da tempo consolidati, o se anche altri, i costruttori premium tedeschi in particolare, abbiano barato consapevolmente.
Lo sapremo in tempi relativamente brevi, così come smetteremo finalmente di leggere consumi “omologati” assolutamente irrealistici ottenuti sfruttando i sospetti bizantinismi delle attuali norme, che in sostanza impediscono di conoscere gli effettivi consumi ed emissioni d’uso.
E’ però altrettanto certo che il colpo per Volkswagen ed i suoi marchi, primo fra tutti la ricca Audi, può essere tanto forte da ridurre in modo radicale, la forza, l’autorevolezza, la capacità finanziaria, le dimensioni del colosso tedesco.
VW fino a settembre era sorretta da una liquidità esorbitante, dai maxi profitti di Audi e Porsche, dall’inebriante conquista del primato mondiale del mercato auto, con il sorpasso di Toyota, dalla certezza di esser potente e inarrestabile.
Certo “l’impero” soffriva già di inquietudini concrete per la crisi della sua leadership e le feroci lotte tra le diverse fazioni per il controllo del board del gruppo, per la fatica a realizzare il drastico piano di riduzione dei costi, per il preoccupante scivolone sui mercati principali – Cina e Brasile -, per la persistente debolezza sul ricco mercato nord americano.
Ma pur sempre nella convinzione di essere una spanna più forti dei più forti, con un senso di granitica, a volte sprezzante, superiorità.
Tutto questo è improvvisamente crollato sotto il peso dello scandaloso dolo perpetrato ai danni anzitutto dei consumatori ed ora cominciano a delinearsi con sempre maggiore chiarezza gli enormi prezzi che il gruppo dovrà pagare.
Dunque costi dei risarcimenti dei danni diretti – intanto 120 milioni di dollari per i 1.000 dollari accettati in risarcimento da 120.000 clienti americani, negati a quelli europei che hanno in corso però class action -, la modifica dei SW, sul venduto e sul nuovo, per la quale il costo a fine dovrebbe essere di 8 mld di euro, il certo, difficile da valutare, costo delle azioni legali di privati, stati, enti, investitori in corso, le cause penali come quello per evasione fiscale, il rallentamento delle vendite e la redistribuzione dell’impegno progettuale dal diesel all’ibrido, il drammatico calo delle risorse per gli investimenti, la necessità di ampliare i tagli e la riduzione dei costi.
Al momento il costo globale della truffa, è stimato in c.a 40 mld di euro, ma può solo aumentare man mano che maturano le azioni dei danneggiati.
Per questo VW è alla ricerca di un prestito di 20 mld di euro che gli consenta di mantenere almeno la parte core del piano prodotti, ma tutti pensano che dovrà comunque alleggerire la struttura e sacrificare marchi e prodotti, come ha fatto Ford nel periodo della sua crisi più nera, quando fu costretta a cedere Volvo, Jaguar, Land Rover, Aston Martin.
Nel “tototagli” le prime vittime sarebbero i gioielli di alto di gamma che producono perdite, vale a dire la fallimentare ammiraglia Phaeton, Bugatti, sparirebbero dalla gamma della capo gruppo tutte le auto di nicchia – coupè, cabriolet, sportive in particolare, ma anche VW Up! e Audi A1 potrebbero non avere un futuro – sarebbe sfoltita quella delle affilate Skoda e Seat, anzi il destino di Seat, da sempre in rosso nonostante i massicci investimenti, sarebbe segnato.
Qualcuno ipotizza anche il sacrificio di altri pezzi nobili, come Lamborghini, Ducati, Bentley, per concentrare gli sforzi sui mass market VW e Skoda e i marchi premium Audi e Porsche e resta aperta la domanda per i marchi di veicoli industriali.
L’impero si ridurrebbe così alla fine della dolorosa purga da 12 marchi a 4. In ogni caso addio per i prossimi tre anni al sogno del primato e sforzo a testa bassa per traghettare il 2018 alla definitiva rinascita su basi più contenute.
Non è facile e si aggiunge l’incertezza su un management capace di tenere la rotta in un mare così tempestoso. Non è affatto detto che Mueller duri allo scomodo posto di comando che senza entusiasmo si è trovato a dover occupare.
C’è chi lo accusa nel board di sostanziale connivenza con il passato colpevole di tale disastro e chi invece di non essere l’uomo giusto per la testa del gruppo, come lo era per l’aristocratico marchio Porsche.
Tutti vorrebbero in plancia di comando un “manager della provvidenza”, come Ghosn o Marchionne, un uomo capace di affrontare e superare situazioni eccezionali con scelte audaci e visione manageriale.
Nubi minacciose, sempre più scure, molti, forse troppi, nodi da sciogliere, il raggio di sole all’orizzonte è ancora solo una speranza a lungo termine.