Sergio Marchionne torna a parlare degli stabilimenti italiani di Fiat, spiegando che in questa situazione di crisi ci sarebbe bisogno di tagli.
Sergio Marchionne torna a parlare degli stabilimenti italiani di Fiat, spiegando che in questa situazione di crisi ci sarebbe bisogno di tagli.
Il mercato dell’auto continua la sua flessione in Italia, arrivando ai livelli del 1979, con un volume di vendite di circa 1,4 milioni di esemplari. Una situazione complessa per tutti i costruttori attivi nel nostro paese e in particolare per il gruppo Fiat, che per voce del suo amministratore delegato Sergio Marchionne lancia l’allarme ipotizzando all’orizzonte la possibile chiusura di uno stabilimento italiano.
Marchionne ha spiegato infatti che uno stabilimento italiano è di troppo, aggiungendo senza mezze misure che: “Se il mercato italiano rimane quello di adesso lanciare adesso la nuova Punto sarebbe un grandissimo fallimento, non riusciremmo mai a ripagare l’investimento”, confermando tuttavia la scelta, già annunciata in passato, di realizzare a Mirafiori un piccolo SUV che sarà messo in commercio con i marchi Fiat e Jeep.
L’occasione per fare il punto della situazione con i cronisti è stata la presentazione della Fiat 500L, modello che inizialmente sarebbe dovuto nascere proprio a Mirafiori ma che in seguito il Lingotto ha dirottato alla fabbrica serba di Kragujevac, una decisione favorita anche dai cospicui aiuti economici elargiti dal governo di Belgrado.
Per quanto riguarda la situazione occupazionale italiana, Sergio Marchionne è tornato a puntare il dito contro l’annosa questione dei rapporti con le autorità italiane e soprattutto con i sindacati: “Fino a quando non avremo un livello sufficiente di tranquillità, non riusciremo a esportare”, aggiungendo che l’ideale, per rasserenare i rapporti tra le parti, sarebbe trovare un accordo simile “al contratto firmato dalla General Motors con i sindacati inglesi per tenere aperto l’impianto di Ellesmere Port: 51 settimane lavorative, tre turni al giorno, straordinario al sabato obbligatorio se necessario. Quello è lo standard. L’accordo che abbiamo fatto noi è molto superiore”.
Per Marchionne quella di indicare tagli alla produzione in Italia, con relativa chiusura di un impianto, non è certo una novità e testimonia sempre più come i vertici del Lingotto considerino un vero e proprio peso per il gruppo mantenere i livelli occupazionali attuali nel nostro paese, preferendo esportare la produzione laddove conviene o nei paesi in cui, come il caso della Serbia, ci sia una forte mano d’aiuto da parte del governo.