Alonso e McLaren hanno fallito l’accesso alla fase finale della Indy 500. Andiamo ad analizzare le cause di questo insuccesso che viene da lontano.
Fernando Alonso e la McLaren un binomio che non ha regalato grosse gioie al pilota asturiano, considerando anche l’ultimo fallimento compiuto alla Indy 500. Ma facciamo qualche passo a ritroso, per analizzare meglio quello che non ha funzionato tra questi due importanti nomi del motorsport. Il primo incontro tra il due volte campione del mondo di Formula 1 e il Team McLaren avviene nel 2007, quando da iridato in carica sposò la missione della casa di Woking, che era quella di tornare sul tetto del mondo. Ma da subito le cose non andarono per il verso giusto, l’allora team principal, Ron Dennis, stava lanciando il suo pupillo sulla scena mondiale, Lewis Hamilton, e Alonso ha dovuto lottare immediatamente con una concorrenza interna difficile. Alla fine il titolo sfumò per un solo punto, vista anche la lotta fratricida tra i due piloti di Woking, tanto che il campionato del mondo del 2007 andò alla Ferrari di Kimi Raikkonen.
Le strade del pilota spagnolo e della McLaren si separano alla fine di quella travagliata stagione, ma si ritrovano nel 2015, quando Alonso esausto per gli insuccessi in Ferrari sceglie di sposare la causa della scuderia britannica da poco legata a Honda. Una sfida ambiziosa che si rivela in breve tempo un dramma per entrambi, con strascichi che portano alla separazione tra Mclaren e Honda. Alonso però resta ancora un anno in Formula 1, benedicendo la nuova sinergia tra McLaren e Renault, ma ancora una volta sarà un buco nell’acqua. Visti i fallimenti in Formula 1 è proprio in questo periodo che il pilota spagnolo sceglie di diversificare i suoi orizzonti accentando le sfide endurance e provando a conquistare la Indy 500 ed entrare nella leggenda conquistando la famosa tripla corona. Ma il destino sembra avere un piano diabolico per il binomio Alonso-McLaren: due anni fa lo spagnolo esordisce nel catino dell’Indianapolis, sfiora la vittoria ma sul più bello la sua vettura lo lascia a piedi, in una nuvola bianca. Addio sogni di gloria. Il nuovo tentativo è targato 2019, ma oggi dobbiamo parlare di un fallimento ancora più cocente e umiliante. E il destino stavolta non sembra avere responsabilità.
Perché Alonso non si è qualificato alla Indy 500
Nelle righe precedenti abbiamo un po’ giocato su un destino che si è preso gioco di Fernando Alonso e della McLaren, ma il fallimento alla Indy 500 del 2019 non ha nulla a che vedere con la sorte e con gli astri. Quello che è certo e tangibile nell’immagine di tutti è il talento cristallino e infinito di un pilota che nonostante la carta d’identità sempre più ingiallita ha ancora una fame di vittoria intatta e una qualità quasi unica. Veloce, costante e determinato, tutti attributi che sono sotto gli occhi di appassionati e addetti ai lavori e che appartengono imprescindibilmente ad Alonso. Il samurai non si discute, ma piuttosto stavolta dobbiamo puntare il dito sul suo partner, sul mezzo a sua disposizione. Due anni fa Alonso si è affidato alle esperte conoscenze di Andretti per scalare la montagna e andare alla vittoria di Indianapolis, ma quest’anno le cose non sono andate così perché McLaren ha provato a mettersi in gioco in proprio, peccando di presunzione e di inesperienza.
Schierare una squadra corse creata da zero e provare a vincere la gara più difficile del mondo è un’impresa titanica e gli uomini di Woking hanno fallito sotto ogni aspetto, con quella arroganza e supponenza che avevano dimostrato anche quando rinacque nel 2015 il binomio McLaren-Honda di F1. La professionalità è indiscussa, ma con leggerezza hanno deciso di appoggiarsi ad un team di supporto che lascia perplessi, perché anch’esso con poca esperienza e con un curriculum alle spalle senza grandi acuti. Inoltre, sono state introdotte delle nuove monoposto con meno carico che hanno cambiato molto l’approccio e la confidenza con le velocità e con la pista. Il progetto McLaren si è rivelato complesso e non affidabile, fin dalla prima qualifica era tangibile il disagio dei piloti, in primis quello di Alonso, protagonista anche di un brutto incidente contro le barriere. Quella è stata la prima avvisaglia di qualcosa di negativo. La macchina di scorta è stata assemblata con troppo ritardo, anche rispetto alla concorrenza, e questo ha determinato uno svantaggio notevole anche in termini di preparazione alla corsa, di regolazione dell’assetto ideale per la vettura e di confidenza con il mezzo e la pista nelle sue varie conformazioni dipendenti pure dal meteo sempre variabile. Alonso ha percorso pochi chilometri e questo ha compromesso le sue qualifiche, tanto che poi non ha potuto accedere al lotto dei 33 piloti che si giocano la fase finale di Indy. Con un team più preparato e attento le cose sarebbero potute andare diversamente, e invece ancora una volta siamo costretti a raccontare un insuccesso per Alonso e McLaren.
In conclusione, forse, bisogna tornare davvero a parlare di destino e di sorte, dato che questo matrimonio sembra regalare soltanto frustrazione e polvere ai due protagonisti, oppure nel 2020 assisteremo al riscatto con una dea bendata in debito con Alonso, che finalmente potrebbe portarsi a casa la tanto sognata tripla corona. Quello che è sicuro è che il mastino spagnolo ci riproverà con ogni mezzo possibile, magari anche con uno non marchiato McLaren.