Trump ai big three di Detroit: "investire negli Usa"
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L’eletto presidente repubblicano incontra i vertici Fca, Ford e General Motors: al primo posto la difesa del lavoro negli Stati Uniti.
C’è soprattutto l’attenzione ai posti di lavoro, al centro dell’incontro fra il neopresidente degli Stati Uniti Donald Trump e i vertici delle “big Three” di Detroit: il faccia a faccia Trump – Fca – Ford – General Motors tiene [glossario slug=”banco”] in queste ore a livello mondiale. In ballo c’è il futuro dell’industria automotive Usa e, di riflesso, anche europea. Il motivo è presto detto: sul taccuino delle priorità per Donald Trump, oltre al “taglio” delle tasse alle imprese e alla classe media (sia chiaro: a ben precise condizioni), la lotta all’Isis e all’avvicinamento nei confronti della Mosca di Vladimir Putin, c’è il ritiro degli Usa daigli accordi di libero scambio sanciti dalla Trans Pacific Partnership voluta dal predecessore Barack Obama.
La somma di questi impegni – segnatamente la questione delle tasse – viene affrontata da Trump nel meeting alla Casa Bianca di queste ore con il numero uno di Fca – Fiat Chrysler Automobiles, Sergio Marchionne, e gli omologhi di Ford (l’amministratore delegato Mark Fields) e General Motors (la CEO Mary Barra).
Per dire: dopo il momento dei “tweet” – i lanci online a centoquaranta caratteri con i quali l’eletto presidente Usa ha nelle scorse settimane messo nel proprio mirino Ford e GM “invitando” i due colossi di Detroit a mettere in primo piano l’industria statunitense e lasciarsi alle spalle la delocalizzazione in altri mercati (segnatamente il Messico), sotto la “minaccia” di applicare il 35% di tasse per l’importazione di autoveicoli verso gli Usa – ora inizia il momento di mettere le prime basi sulle quali costruire un new deal per l’auto.
L’annuncio con il quale Trump apre il meeting di fronte ad Fca, Ford e GM è eloquente: “Gli Usa hanno bisogno di una nuova spinta per costruire fabbriche nel Paese”.
A questo proposito, le fonti stampa statunitensi ripportano, in queste ore, la conferma della riduzione delle tasse nei confronti di chi effettivamente operi all’interno del territorio Usa. In tutto questo, c’è anche una revisione dell’accordo commerciale NAFTA Usa – Canada – Messico (agreement al centro dell’industria automotive statunitense, visto che dal Messico, dove fra l’altro si riceve un parte della componentistica di assemblaggio, vengono prodotti autoveicoli destinati all’esportazione in altri mercati mondiali).
La “colazione di lavoro” con Trump è particolarmente sentita da Sergio Marchionne: il presidente e amministratore delegato Fca (in questi giorni al centro di uno “scandalo” sulle emissioni – ultimo atto da parte della EPA sotto l’amministrazione Obama – che seppure largamente inferiore come portata al “Dieselgate” Volkswagen esploso nell’autunno 2015, interessa circa 100.000 unità fra Dodge Ram 1500 e Jeep Grand Cherokee prodotte dal 2014 al 2016 e vendute negli Stati Uniti) ha in ogni caso mostrato di avere già recepito la nuova strategia per l’industria in generale voluta da Trump. Tanto che, al recentissimo Salone di Detroit 2017, aveva annunciato un notevole boost produttivo per Fca sul suolo statunitense: 2.000 nuovi posti di lavoro e 1 miliardo di dollari da investire negli impianti di Wanner (Michigan) per le future Jeep Wagoneer e Grand Wagoneer; e a Toledo (Ohio) destinato ad ospitare la produzione del nuovo pickup a marchio Jeep.
Dal canto loro, i vertici Ford, più volte additati dal neoeletto presidente repubblicano durante i mesi infuocati della campagna elettorale, hanno recentemente portato a termine un deal con la nuova presidenza, dopo avere comunicato la rinuncia agli stabilimenti messicani. Anche General Motors ha compiuto un passo analogo a quello dell’Ovale Blu: niente nuovi investimenti in Messico, e maggiore attenzione agli Stati Uniti.
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